Hemingway Martini
luogo: Bologna
cliente: privato
foto: Fabio Mantovani
Ero troppo piccola per avere ricordi nitidi di quei giorni...
Ricordo però che vivevamo in un appartamento sulla prima collina che accompagna Bologna verso l’Appennino, una zona borghese con vicini anziani indipendentemente dalla loro età anagrafica e cani stanchi che trascinano tutti i giorni i loro padroni a fare il giretto quotidiano del quartiere, un esercito di sentinelle con l’arduo compito di preservare l’immobilità assoluta.
La nostra giornata era scandita da riti precisi che hanno formato in me una sicurezza dolce che mi accompagna ancora nei momenti più difficili. Ricordo come istantanee le mani di mio padre e quelle di mia madre; un po’ tozze e paffute con dita corte quelle di mio padre, affusolate ed eleganti con dita lunghissime quelle di mia madre, diverse esteriormente ma molto simili nel modo in cui sapevano rassicurarmi.
Le ricordo al mio risveglio accarezzarmi la schiena e le guance, le vedo in cucina mentre preparano la colazione, le intravedo intorno al nodo della cravatta di mio padre subito prima di uscire per andare a scuola. Giorno dopo giorno sempre gli stessi movimenti, quando facevano qualcosa mi perdevo a fissarle per interi minuti quasi in trance seguendo quei riti dei quali conoscevo già la mossa successiva ed il gioco era vedere che succedeva esattamente quello che mi aspettavo.
Ed ora eccomi qua dall’altra parte del mondo a cercare di ritrovare quelle mani nelle persone che incontro per sentire ancora un po’ di quel calore, per tuffarmi di nuovo in quei giorni e fermare per un attimo il tempo che ormai sembra impazzito.
“Excuse me madame... may I serve you something?” Trasalisco, ancora una volta persa nei miei pensieri seguendo le mani del barista, devo smetterla o la gente inizierà a pensare che sono matta!
“Hemingway Martini, please”.